Si erano persi, persi lì nel cuore del grande mercato, storditi da profumi e aromi sconosciuti, in balìa della folla, mentre le acque limacciose del Rio continuavano a scorrere indolenti sempre nella stessa direzione, verso il mare. Le chiglie dei pescherecci, ondulando, battevano sull’acqua e in lontananza si sentiva il tintinnio di vetri di bottiglie appese che, mosse dal vento, producevano un suono ipnotico. Contratto dalle centinaia di corpi che si muovevano senza un ordine preciso, Carlo alzò lo sguardo verso l’alto, in direzione della grande struttura in ferro battuto che dava rifugio allo sciame di contadini, artigiani e venditori, ma non gli servì a nulla. Non riusciva a capire dove si trovasse esattamente, nonostante l’enorme lampadario di cristallo appeso proprio sotto la cupola propagasse luce viva in ogni direzione.
La pancia del grande mercato ribolliva come in un enorme calderone, mentre la frutta fermentava in balìa del calore umano e l’odore dei pesci esposti si faceva sempre più nauseabondo. Carlo non sapeva cosa fare per ritrovare Zaira e la immaginò inghiottita dalla massa, dall’enorme massa di meticci sempre crescente, senza poter far nulla. Quell’immagine lo paralizzò. Gli pareva di sentire il cuore dell’amica battere all’impazzata in mezzo al tumulto, con gli occhi sbarrati verso il vuoto, sopraffatta dallo sgomento. Cercò di non perdere la calma, ma un nero enorme, nell’intenzione di farsi strada tra la folla, gli diede una spallata e lo scaraventò a terra. Cadde di faccia. Rimase incosciente per qualche istante, e quando tornò in sé si ritrovò con la guancia sinistra in mezzo alla fanghiglia, tra verdure marce e poltiglie sanguinolente, mentre centinaia di piedi nudi continuavano a passargli a fianco, senza curarsene. Era privo di forze, ma provò a tastare con la mano destra il pavimento dietro la sua schiena, in cerca dello zaino, non lo trovò. Quell’assenza gli ricordò immediatamente di Zaira e in un istante si ridestò. La dolce immagine dell’amica gli riattivò il cuore, che prese a battere all’impazzata. Girò la testa a destra e a sinistra e lo sguardo in ogni direzione, ma non la vide. Non riuscì a scorgere i capelli lisci e biondi di Zaira da nessuna parte.
Fu attratto però da una visione. In un angolo, mimetizzata tra le decine di bancarelle, c’era un’anziana signora dalla pelle raggrinzita e scura, seduta su una grande sedia simile a un trono. Alle sue spalle, c’era una parete di un colore verde acceso, sulla cui mensola a mo’ di altare primeggiava una serie di figure sacre. C’erano Sao Joao, la Vergine Maria con un vestito azzurro, un demone in legno con le fauci spalancate, Sant’Antonio da Padova e poi altre statuine nere di esotiche divinità, che al sol guardarle incutevano una strana soggezione. L’anziana signora era piccola, minuta, e vendeva curiosi amuleti, pozioni e creme “miracolose”. Inoltre, sul piccolo banco si trovavano esposte radici, foglie secche per infusi e ramoscelli d’erbe, probabilmente officinali, mentre al centro primeggiava, come un enorme rubino, una pitaya color fuxia. La vista di quel bellissimo frutto esotico gli mise una gran voglia di addentarlo, producendogli nella gola un’abbondante salivazione. Si avvicinò diretto al frutto senza nemmeno salutare la vecchina, ma nell’atto di afferrarlo fu colto da un improvviso e irregolare battito di cuore che, immediatamente, lo scosse, liberandolo da quell’avvolgente e fugace ossessione. Quando si chinò verso la vecchina per salutarla, alle sue spalle scorse Zaira, più bella e luminosa che mai. Un profumo di priprioca li avvolse.
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