E alla fine giungemmo a Managua, caotica capitale del Nicaragua, sinceramente proccupati dalla sua indegna fama di città tra le più agitate e pericolose del Centro-America. Un caos metropolitano pre-annunciato, inevitabile passaggio del nostro attravresamento da sud a nord.
Cosa aspettarsi? Avremmo visto confermate tali premesse? Oppure avremmo scoperto qualcosa di nuovo e più interessante?
Non ha senso venire a Managua, senza considerare la sua Storia rivoluzionaria. Ogni angolo di questa città, infatti, racconta di un passato, piuttosto recente, che ha visto un intero popolo soffrire la dittatura e reagire, con la creazione del Fronte Sandinista di Liberazione Popolare (FSLN), ai soprusi del suo aguzzino, il dittatore Anastasio Somoza.
Il FSLN è il fronte guerrigliero creato nel 1961 per opporsi ad una sanguinaria dinastia, attiva al governo dal 1937. L’azione rivoluzionaria culmina nel luglio del ’79, quando l’avanzata del Fronte sbaraglia le forze governative e assume il controllo del paese fino al 1990.
Il nome del movimento di liberazione prende spunto da Augusto Sandino, leader della resistenza nicaraguese contro l’esercito d’occupazione degli Stati Uniti in Nicaragua, tra il 1927 e il 1934.
“Dalla Loma de Tiscapa, la collina più famosa di Managua, l’ombra di Sandino giganteggia su tutta la città, così come la sua grande statua.
L’ardore rivoluzionario è ancora vivo, e sempre lo rimarrà, nel cuore del popolo nicaraguense, più che mai figlio di questo piccolo grande uomo, che con il suo esempio inspirò generazioni di rivoluzionari.”
Patriottismo a parte, ci si chiede cosa c’è da vedere a Managua? L’abbiamo provato a chiedere alla gente del posto, e la risposta secca alla nostra domanda, è stata sempre, inevitabilmente: “Il porto!”. “Il porto?” “si esatto, il porto Salvador Allende“, un’innovativa struttura (a detta dei manguensi) iper colorata, per la verità un po’ pacchiana, dove si concentrano tantissimi locali e ristoranti… messicani! Luogo curioso, ma non troppo interessante per noi, in cerca di qualcosa di più consistente.
“Managua non è una bella città, nè una città turistica, è caotica e per di più trascurata, eppure conserva il valore di un intero popolo, che ha nel proprio DNA lo spirito della resistenza, della Rivoluzione, e della Libertà.
Managua è il riflesso di un paese da sempre connesso con le pulsioni socialiste, con tutti i pro e i contro che tutto ciò comporta. Qui si respira storia, ardore e passione.”
Ecco, alla fine finiamo sempre per parlare di Rivoluzione, è impossibile scindere la Storia da Managua. Perciò, provate a farvi un giro in Piazza della Rivoluzione, nella cosiddetta Zona Monumental, uno dei pochi luoghi turistici (assieme al porto ovviamente), dove si concentrano vari monumenti istituzionali, un parco cittadino e altri edifici simbolo della città, come il Museo Nazionale, il Centro Culturale, Plaza de la Republica e il monumento al poeta Ruben Dario, l’altra grande anima del Nicaragua, cui è intitolato anche il vicino Teatro Nazionale.
E mentre sullo sfondo della città, svetta imponente la lugubre sagoma del Volcan Tiscapa, il resto del centro urbano è un insieme disomogeneo di edifici e di strade, che inglobano i vecchi echi di un importante passato coloniale. La Cattedrale di Santiago, bella e decadente, ne è un simbolo indiscusso, oltre che emblema di un rigore religioso che contraddistingue gran parte del popolo nicaraguense. La sua particolarità è quella di essere stata realizzata in Belgio, prima di essere assemblata in loco. La sua decadente e pericolante struttura è figlia dei vari terremoti che si sono susseguiti nell’ultimo secolo, l’ultimo dei quali nel 1972.
Il bello di Managua, quindi, non è nel suo insieme, bensì nella sua essenza, che andrà svelata lentamente, passo dopo passo, facendosi inspirare dalle evocazioni dei suoi Padri della Patria: Sandino e Ruben Dario.
Il secondo, come il primo, è un monumento eterno al valore di un paese geneticamente lottatore, e di un popolo dal sangue vivo e caldeggiante.
Come a dire che il Nicaragua, e quindi Managua, non esisterebbero senza la poetica di Dariò e l’ardore di Sandino.
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