[ Avventura a Piracuara ] – Arriviamo a Santarem nel pomeriggio, dopo 3 giorni di navigazione da Belem. Scesi a terra puntiamo subito all’altra imbarcazione che di lì a un paio d’ore salperà alla volta di Itaituba, un tempo città dei garimpeiros (o cercatori d’oro) e uno dei maggiori centri di produzione aurifera di tutta l’Amazzonia Brasiliana, per questo dalla fama (ancora) poco raccomandabile. Compriamo i biglietti, il tempo di raggiungere il molo di partenza e apprendiamo che la barca non parte. Ci informiamo bene, ma sembra che la notizia sia confermata, stanno facendo manutenzione, ci dicono. Bah. Siamo costretti a cambiare i piani. Inizialmente decidiamo di rimanere una notte a Santarem per poi ripartire l’indomani per Itaituba. L’hotel dove capitiamo, però, è più simile a un postribolo che a un albergo, cosi che lasciamo gli zaini nella camerata e usciamo il prima possibile a visitare la città, in cerca di non sappiamo bene cosa. C’è inquietudine nell’aria, e sta già facendo notte. In compenso ci sorprende un tramonto pittoresco che incendia tutto il porto commerciale sullo sfondo.
Mentre camminiamo sul lungo fiume, notiamo, attraccate ad un moletto, due bellissime barche in legno, anche se per la verità piuttosto attempate, che hanno le sembianze di due vecchi postali. I piani superiori sono già pieni di amache penzolanti. La loro proiezione sul cielo infiammato attira la nostra attenzione. A prua di una delle due c’è scritto “Projeto de Deus, freta-se”. Un messaggio che sembra stato scritto apposta per noi. E se…
L’equipaggio sta caricando a bordo merce, qualche moto e registrando passeggeri. Direzione, boh?! Un uomo sorprende la nostra curiosità e ci chiama a sé. È il comandante in persona. Ci dice che si salpa di lì a un’ora, arriveremo l’indomani nella comunità fluviale di Piracuara, molte miglia lungo il Tapajos, e che se abbiamo le reti (le amache) possiamo già piazzarle. La traversata durerà un dodici ore e per pranzo saremo nella comunità di Piracuara, nel cuore della Foresta Amazzonica. Si, è quella la soluzione, che ci viene servita su un piatto d’argento dalla Provvidenza, prima però vanno recuperati i bagagli, per il momento parcheggiati nella stanzetta angusta dell’hotel, se così possiamo chiamarlo. Fila tutto liscio e in una mezz’oretta siamo a bordo, pronti alla traversata.
Fervono i preparativi, l’equipaggio è molto indaffarato, e sulla nave continuano a salire passeggeri. Dove cavolo si metteranno, se è già tutto pieno, penso. La risposta è presto data: saremo tutti insieme, equipaggio, merci e passeggeri. La densità è massima, un fermento contagioso degno di un libro di Jorge Amado alimenta quell’incredibile scorcio di universo popolare amazzonico. Ormai è già notte e siamo pronti a salpare. Comincia subito a piovere, il fiume inizia a gonfiarsi e per come fa dondolare la nostra nave, sembra più che altro mare, anzi oceano. Sono tutti a cavallo della propria amaca, a parte l’equipaggio impegnato a fare gli onori di bordo. Si prospetta una notte divertente, o forse sarebbe meglio dire agitata. Intuizione esatta.
Nel frattempo la burrasca imperversa, vengono calati i teloni per impedire alla pioggia di entrare dentro e bagnare qualsiasi cosa. Il calore umano aumenta in quella stanza piena di corpi, pollame e merci varie. Ci sono donne anziane, madri in cinta, giovani padri, qualche bambino molto piccolo e noi come unici viaggiatori. Nella penombra si scorge tanta vita, presente, passata e futura, mentre la notte corre veloce e silente, anticipata solo dal rumore delle onde che si infrangono sulla chiglia e dal borbottio dei motori. Nessun’aspettativa, solo attesa di sapere dove quel vecchio e macilento postale ci sta conducendo. Ma è questo il bello del viaggiare. Lo scopriremo solo l’indomani, ora non resta che provare a dormire, amaca contro amaca, con gomiti che spuntano assieme a piedi, teste dondolanti e arti vari, mentre sullo sfondo il suono di note popolari accompagna l’incedere di una nuova avventura.
LA COMUNITÀ DI PIRACUARA
Ci svegliamo al sorgere del sole mentre la barca sta fluttuando tra una miriade di canali amazzonici, il paesaggio è pazzesco. Sembra di stare in sogno. Tutt’intorno silenzio. È tutto allagato perché siamo nella stagione delle piogge e il Rio Tapajos ha invaso tutto, perfino i cavalli vivono nell’acqua.
Un mondo difficile da descrivere, perché surreale. Poi finalmente arriviamo a Piracuara, il capitano ormeggia la nave sulla riva del fiume, di fronte a una piazzetta interamente ricoperta da un prato verde, sulla quale si affacciano due bar. Siamo arrivati nella Comunità. È qui che rimarremo i prossimi giorni. Siccome non c’é neanche un albergo, il capitano ci offre di rimanere, come suoi ospiti, a bordo della nave, e noi accettiamo di buon grado, tanto le amache sono già piazzate. Che figo, pensiamo, l’unica cosa è che siamo proprio dentro al fiume, praticamente nella bocca del leone, dove il leone qui sta per zanzare. Per fortuna, però, prima di iniziare la risalita del Rio delle Amazzoni, al Mercato Ver-o-peso di Belem, ci eravamo preocurati per pochi reais due zanzariere per amache, da usare all’occorrenza.
Da queste parti, ci dicono i ragazzi dell’equipaggio, la gente non è abituata a ricevere forestieri, e quindi cerchiamo di muoverci con circospezione e rispetto, con l’intento di non risultare invadenti, salutando ad ogni passo e ringraziando per essere lì. Per fortuna, il nostro modo di fare ha successo, ci prendiamo perfino dei sorrisi molto incoraggianti. La Signora Ines, che ci ha visti passare già un paio di volte, ci chiama a sé e noi accettiamo, curiosi di conoscere quell’adorevole vecchina, dalle sembianze di strega (buona ovviamente). Ci racconta della sua giovinezza e si improvvisa addirittura cantante. È dolcissima.
Poi è il turno di Raimundo Mata-Onças (“Uccidi-pantera”) che sostiene di aver ucciso nel corso della sua vita ben 144 pantere, ma quando ci da questa notizia ha già una decina di birre ammucchiate sul tavolo. Per fortuna, poco dopo, veniamo poi a sapere che è una cazzata, “Raimundo è um bicho mentiroso”, ci dicono i suoi amici, mentre l’uomo è distratto. Tiriamo così un sospiro di sollievo per le pantere.
LA FORESTA INCANTATA DI PIRACUARA
Insomma, la comunità è viva, e volendo saperne di più cerchiamo di informarci su come vivono e di cosa vivono, scopriamo che le due principali attività sono la pesca e l’allevamento dei bovini, solo che al momento, siccome è tutto allagato a causa della stagione delle piogge, gli animali sono parcheggiati dove capita, in attesa di tornare a pascolare più liberamente quando tutta quell’acqua si sarà ritirata. A proposito, ci dicono che sarebbe bello per noi se riuscissimo a fare un giretto in barca nella foresta allagata. Già, ma come, se non si vede nessun pescatore?! Ci suggeriscono, quindi di andare a casa di Rinildo, conosciuto come “La Ninhada”, lui avrebbe fatto al caso nostro. E infatti, è lí sulla veranda di casa sua che sembra proprio in nostra attesa. Dopo un facile accordo, siamo pronti per andare alla scoperta di quell’angolo remoto di Amazzonia, dove la Natura regna ancora incontrastata, regalando magia ad ogni pagaiata.
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