L’esperienza nel deserto del Sahara con i Tuareg è stata una delle cose più entusiasmanti del nostro viaggio in Algeria, un Paese che fino ad ora avevamo conosciuto solo tramite i suoi spettacolari siti archeologici di matrice romana, molto ben conservati, e i villaggi fortificati della valle del M’Zab, la cui perla più preziosa è Ghardaia. Scoprire il deserto del Sahara a ritmo lento e in compagnia dei Tuareg è stato per noi un grande privilegio, oltre che un’opportunità unica che ci ha permesso di esplorare un mondo estremo e inaspettatamente molto variegato.
“I Signori del deserto sono loro, i Tuareg, i figli del cielo, gli Uomini blu, così chiamati a causa della tradizionale stoffa color indaco che copre il capo e il viso e che gli uomini indossano dal raggiungimento della pubertà. Di origine berbera, i Tuareg nascono come cammellieri nomadi, tuttora presenti in vasti territori dell’Algeria, Libia, Tunisia, Niger, Burkina Faso, Mali.”
Ciò che colpisce del Sahara è la varietà di paesaggi che spazia dalle classiche dune sabbiose susseguentesi a perdita d’occhio, alle strepitose formazioni rocciose della regione del Timras, fino alle ricche sorgenti d’acqua come il Wadi Essendilene, senza dimenticare le innumerevoli testimonianze di arte rupestre che fanno del Sahara Algerino il Museo Open Air più vasto del mondo. Punto di partenza, Djanet che con i suoi circa 20 mila abitanti è passaggio obbligato di ogni viaggio esplorativo di questa porzione del Sahara.
“M’incammino, nell’immensa fiducia di questo mare di sabbia, e nell’aria calda percepisco un sibilo flebile
Un’antica voce che giunge da molto lontano,
Da secoli addietro,
Sahara.”
COME ARRIVARE
Si arriva a Djanet via aerea, con circa 4 ore di volo dalla Capitale Algeri; una volta sbarcati è necessario superare le procedure burocratiche di ingresso, gentilmente gestite dalla Gendarmerie Nationale, dopo di che si viene presi incarico da una guida Tuareg, che vi seguirà per l’intero soggiorno. A tal proposito, ricordiamo che non ci si può muovere per il deserto liberamente, ma è obbligatorio l’accompagnamento di una guida locale Tuareg. La nostra si chiamava Ahmed, una persona veramente a modo, oltre che grande conoscitore del deserto del Sahara e ottimo guidatore.
IL DESERTO DEL SAHARA, OVVERO IL REGNO DEL GRANDE NULLA
Come afferma la scrittrice Mirella Roastaing, nel suo saggio antropologico “I segreti degli uomini blu”, a guardarlo bene, questo deserto possiede tutta l’essenzialità di una massa vivente. E’ sufficiente saperla cercare. Nel Sahara c’è veramente di tutto: oasi non più grandi di due ciuffi di palme, oppure veri e propri giardini di centinaia di alberi da datteri, tanto da sembrare un vacuo miraggio offerto dall’ingegnosa fantasia sognatrice del mondo notturno; acqua di ogni tipo: sorgenti dolci, polle affioranti al suolo come grosse bolle blu delle acque termali, pozzi salmastri, guelte che ricoprono vaste superfici di sabbia e che sono piene di fiori di ogni tipo e anche di pesci. Lo stesso deserto cambia di tipologia e si permette di offrire diverse sfaccettature, come la sfolgorante lucentezza di una pietra preziosa, basta avere il tempo sufficiente per scoprire, poco alla volta, la sua fantasmagorica bellezza ed il suo fascino misterioso e inaspettato: le dine che fumano, quelle su pietra basaltica, infine il deserto vero e proprio di sola pietra tufacea e nerastra.
A tratti il fuoripista si snoda tra due linee parallele di colline color carbone, subito dopo, invece, essa corre lungo una piatta distesa uniforme su cui il vento interviene immediatamente a cancellare ogni traccia. Un’ossessionante susseguirsi di piccole ondulazioni del terreno, trasversali alla strada, dell’altezza di una decina di centimetri, che scuote senza posa la jeep, facendo ben presto rimpiangere i sassi, le buche gli insabbiamenti precedenti, ma per fortuna la guida sapiente dei Tuareg rende tutto molto sicuro e affascinante.
Un’esperienza, quella di attraversare il Sahara in Jeep, che va intrapresa come un viaggio ascetico verso la liberazione da ogni concetto materialista, dal tempo allo spazio, dalle frontiere ai confini geografici. Nel Sahara c’è tutto e non c’è niente, dipende da come noi ci predisponiamo.
C’ERA UNA VOLTA LA SAVANA
Solo 3000 anni fa il Sahara, che oggi conosciamo come un’enorme distesa di sabbia e rocce, era una lussureggiante savana tropicale, abitata e vissuta da popoli e mandrie di animali, un miracolo inesorabilmente svanito sotto l’impetuosa azione del sole e del vento. Quali tracce di quei tempi floridi, pitture e incisioni rupestri di pregevole fattura che ritraggono scene di caccia, di vita quotidiana, di guerra e perfino di bellezza. Dettagli impressi sulla roccia che emozionano e che ci raccontano di un mondo pieno di vita e di immaginazione, e che oggi fanno di questo tratto di Sahara, il Museo Open Air più grande del mondo.
LE TAPPE DEL NOSTRO PASSAGGIO NEL SAHARA
Per quanto riguarda il nostro viaggio, sono stati 4 giorni di stupore continuo, durante i quali il Sahara si è rivelato nella sua più pura magnificenza. Tutte le esplorazioni partono di solito da Djanet, dove si trovava anche il nostro hotel, semplice e basico, ma pulito e accogliente. Quindi, partenza in fuoristrada per la zona del Timras, un’area caratterizzata da formazioni rocciose in arenaria dalla tipica colorazione giallo rossastra che formano un vero e proprio labirinto di rocce, guglie e archi naturali. Qui sono presenti anche innumerevoli pitture rupestri, straordinari esempi di arte sahariana e importantissime testimonianze di epoche preistoriche quando queste aree erano ricche d’acqua e popolate. Proseguimento per Tikabaouine dove si possono ammirare curiose formazioni rocciose, tra cui il famoso arco che ricorda il profilo di un elefante seduto.
Dopo il Timras si parte alla volta del Wadi Essendilene, che si trova a circa 80 chilometri a nord di Djanet. Si lascia la strada asfaltata e dopo dieci chilometri di fuoripista si entra in quello che è un vero e proprio canyon. Con una passeggiata a piedi nel letto del fiume ormai secco, di circa un’ora e mezza, si arriva alla guelta, una sorgente d’acqua immersa in una foresta di oleandri in fiore, circondata da vertiginose pareti di arenaria.
Uno spettacolo che non ti fa pensare minimamente al deserto, ma la verità è che nel Deserto del Sahara c’è più acqua di quello che pensiamo.
L’ultimo giorno è dedicato alla scoperta dell’erg Ad Mer, il luogo a cui si pensa sentendo la parola “Sahara”: un mare ininterrotto di dune rosate che si estende per oltre centottanta chilometri di lunghezza, un susseguirsi di scorci e paesaggi capaci di regalare emozioni uniche. Pranzo suggestivo all’ombra di un’acacia, nel pomeriggio, rientrando a Djanet, sosta nella zona di Taghaghart per ammirare un vero e proprio capolavoro dell’arte neolitica, il graffito che viene chiamato “la vache qui pleure” (la mucca che piange).
L’ESPERIENZA CON I TUAREG
I signori del deserto sono indiscutibilmente loro, i Tuareg, gli uomini blu, gli unici a conoscere i segreti di questo immenso nulla chiamato Sahara. Attenzione, però, perché il nome Tuareg gli stato dato dagli arabi e significa “coloro che abbandonarono Dio”, tra di essi si chiamano amahar, che vuol dire nobile, indipendente, libero.
Per tutto il periodo del nostro soggiorno nel deserto si sono occupati amabilmente di guidare, di prepararci pranzi e cene squisite a base dell’immancabile chorva (la zuppa tradizionale) e non solo, di mostrarci le testimonianze di arte rupestre sahariana e di portarci in escursione alla guelta del Wadi Essendilene.
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