I Colossi di Memnone sono una delle opere più imponenti di tutta la statuaria egizia, essi sono stati costruiti per impressionare il viandante e per ricordare all’uomo la grandezza dei suoi Dei. Nello specifico si tratta di due enormi statue di pietra che rappresentano il faraone Amenhotep III, erette oltre 3400 anni fa nella necropoli di Tebe (nella Valle dei Re), lungo le rive del fiume Nilo, precisamente sulla sponda opposta alla città di Luxor, che facevano parte del complesso funerario eretto da Amenhotep III; ma allora perché si chiamano Colossi di Memnone? Chi era mai costui? La risposta è contenuta in un’antica leggenda.
Prima di raccontare la leggenda che riguarda i colossi di Memnone, però, diamo qualche cenno doveroso sul faraone Amenhotep III, conosciuto anche come Amenofi “il Magnifico”, che regnò sull’Egitto dal 1386 a.C. al 1349 a.C. (Nuovo Regno), successivamente alla morte di suo padre Thutmose IV. Il suo regno fu un periodo di prosperità e splendore artistico senza precedenti: con Amenofi III, infatti, l’Egitto raggiunse l’apice del potere, della ricchezza, della raffinatezza artistica e del prestigio internazionale.
COME RAGGIUNGERE I COLOSSI DI MEMNONE
Sulla strada che da Luxor porta alla Valle dei Re (che noi abbiamo anche sorvolato in mongolfiera), dopo una mezz’oretta di strada in bus, in direzione Assuan, ad un certo punto appaiono due enormi statue, sono i Colossi di Memnone costruiti per impressionare il passante e ricordare all’uomo la grandezza dei suoi Dei. Sono visitabili liberamente e non c’è bisogno di pagare il biglietto di ingresso, a differenza di tutti gli altri siti presenti nella Valle dei Re.
“Alti ben 18 metri, la funzione originale dei Colossi era di stare a guardia dell’entrata del Tempio di Milioni di Anni di Amenhotep: un gigantesco centro di culto costruito quando il faraone era ancora in vita, addirittura più grande dei templi di Karnak e Abu Simbel. Oggi purtroppo i due colossi sono una delle pochissime testimonianze di quella mastodontica struttura”.
LA LEGGENDA DI MEMNONE
Il nome di Memnone non è legato direttamente alla storia egizia, come ci si aspetterebbe, ma è connesso con quella greca. Dopo la conquista persiana, Cambise II ne fece mutilare i volti delle statue, tagliandone gli orecchi e la bocca. Il nome originario del faraone e lo scopo delle statue andarono perduti col tempo, e man mano che il tempio funerario vicino si sgretolava e la cultura greca si sostituiva a quella egiziana, aumentava l’aura leggendaria delle Statue. Il nome attuale con cui sono tuttora conosciute queste statue fu coniato dagli storici greci, che le associarono all’eroe semidio mitologico Memnone, ucciso da Achille.
Nell’opera Vita di Apollonio di Tiania, infatti, lo scrittore greco Filostrato racconta che dalla statua di destra si producevano all’alba dei suoni singolari, causati probabilmente dal riscaldamento solare della roccia, e che gli antichi greci e romani interpretavano come il saluto dell’eroe alla madre Eos, dea dell’aurora. Questa strana statua “parlante” attirava la curiosità di viaggiatori e viaggiatrici, inclusi personaggi importanti, che la ricoprirono di iscrizioni.
Secondo un’altra versione della leggenda legata ai Colossi di Memnone, supportata anche da numerosi storiografi, nel 27 a.C. ci fu un terribile terremoto nei pressi di Luxor che mandò in pezzi gran parte di uno delle due statue. Da quel momento in poi, l’altra statua iniziò a “cantare” ogni mattina all’alba, quando i primi raggi del sole ne illuminavano il viso.
Memnone era un semidio, figlio di Tritone e di Eos, l’aurora. Regnò sulla Persia e l’Etiopia, schierandosi con i Troiani nella guerra di Troia. Quando Ettore morì in battaglia, Memenone tornò con un numeroso esercito, composto da guerrieri assiri, etiopi e persiani. Stando alla tradizione, le sue armi erano forgiate da Efesto in persona, ma questo non gli impedì di venire decapitato in battaglia da Achille. Fu questo un episodio chiave, che determinò di fatto la capitolazione di Troia, che fu perduta mentre la dea dell’alba pianse così tanto per il figlio che creò la rugiada.
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