UN PATRIMONIO CULTURALE DAVVERO INTERESSANTE
“E’ come un sole interiore che illumina di semplicità le nostre coscienze erranti”
Nelle regioni settentrionali dell’Ecuador (Esmeralda, Imbabura, Carchì), quasi al confine con la Colombia, vivono isolate e nascoste alcune comunità di origine africana che accolgono il viaggiatore straniero con estrema cordialità, come solo le genti di pelle nera sanno fare.
Per la verità, da queste parti ne giungono pochi di forestieri, ma quei pochi che vi arrivano si trovano sicuramente a proprio agio, immersi in una dimensione di ideale rilassatezza, anche se il paesaggio non è proprio idiliaco. Qui la natura è estrema, e si passa dal rigoglio lussureggiante delle mangrovie di San Lorenzo, dove si trovano i manglares più alti del mondo, alle vallate secche e aride della Valle del Chota, dove dominano polvere e sole.
Si tratta fondamentalmente di due territori differenti, giacchè quello che fa capo alla città di San Lorenzo, si trova nella provincia di Esmeralda, sul versante pacifico, mentre la Valle del Chota fa parte dei territori interni compresi tra le province di Imbabura e Carchì. Due areali ben distinti che però hanno in comune il fattore etnico.
“Ostile come un deserto, come una landa arida e polverosa, vittima del sole e del suo potere corrosivo e accecante. Intorno, sui pendii nemmeno l’ombra di un arbusto. Eppure quella valle aveva dato un’altra chance a chi stava fuggendo, secoli or sono (nemmeno troppi), dalla schiavitù dei barbari occidentali. Ad un tratto quei neri africani si erano ribellati all’oppressore, ed erano fuggiti dall’inferno delle piantagioni, rifugiandosi lì dove nessuno poteva interferire, nemmeno la fantasia sadica dell’uomo bianco.
Lì, nella Valle del Chota, nella provincia nord-occidentale di Imbabura, grazie a quell’unico fiume, che solcava la valle, come una visione, quei neri africani erano cresciuti ed avevano proliferato, fino a diventare ecuadoriani.
Oggi questa valle è un piccolo paradiso polveroso, dove la vita scorre lenta, serena e indistinta. La comunità che vi vive, pratica agricoltura di sussistenza e vive in case di cemento, senza la minima velleità di sviluppo. Eppure in questa valle, abbiamo incontrato un’umanità calorosa, generosa, spontanea, tipica della razza nera proveniente dall’Africa.”
UN PASSATO CRUENTO, UN PRESENTE SERENO
La presenza di comunità di origine africana in queste zone è un’eredità diretta dei lugubri tempi della Conquista, quando Gesuiti e Mercenari trascinarono con la forza intere popolazioni dall’Africa, per impiegarle nelle miniere e nelle piantagioni.
Oggi queste comunità, seppur isolate, vivono in armonia con l’ambiente circostante e con il clima caldo-umido (a tratti torrido) di queste regioni, seguendo i ritmi placidi della natura; ciò che più colpisce è proprio il senso di tranquillità di questa gente, anche se vivere qui non è affatto semplice.
Le giornate fluiscono tranquille, e le strade sono sempre desolate per gran parte del giorno, salvo poi popolarsi di nuova vita al calar del sole. D’altronde, sia nei territori di San Lorenzo, che in quelli della Valle del Chota, il clima è implacabile, e solo il sangue africano che scorre nelle vene di questa gente ha fatto sì che esse si adattassero a simili condizioni climatiche.
LA VALLE DEL CHOTA, COME ARRIVARE E COSA FARE
La Valle del Chota si trova nella conca del Rio Chota, unica fonte di acqua in un mare di polvere. Ci troviamo tra le province settentrionali di Imbabura e Carchì, in una regione povera e carente di risorse. Nonostante tutto vive qui una comunità nera di circa 25.000 abitanti, che a suo tempo fu costretta a rifugiarsi in queste zone impervie per fuggire di fatto alla morsa della schiavitù.
Si giunge qui con trasporto pubblico da Ibarra (capoluogo della provincia di Imbabura), da cui siamo distanti circa 35 km (circa 90 km da Tulcan e dalla frontiera con la Colombia). I pochi viaggiatori che arrivano qui (tra cui anche noi) fanno base a Ibarra, giacchè nella Valle del Chota non ci sono praticamente strutture ricettive, ed il contatto con la popolazione locale non è diretto. Dovrete essere bravi voi a conquistarvi la loro fiducia, e dopodichè sarà una festa!
A proposito di feste, ce n’è una in particolare, celebrata dalle comunità di Carpuela e Juncal, che si chiama la “Bomba del Chota”. Si tratta di un misto di danze, poesie e musiche tradizionali, a cui partecipa di solito gran parte della comunità, in un tripudio di canti e balli tribali, evidente lascito della cultura nera africana.
La bomba viene interpretata dalla Banda Moncha in occasione di varie ricorrenze, come le feste comunitarie in onore della Vergine del Carmen o di San Giovanni, oppure in occasione di feste civiche ed iniziazioni.
Uno spettacolo di enorme suggestione, cui vi auguriamo di partecipare, giacchè noi non abbiamo avuto questa fortuna. La nostra grande fortuna, o meglio opportunità, è stata però un’altra: ovvero entrare in stretto contatto con questa gente, che ci ha accolto nelle proprie umili case con grande entusiasmo e allegria, felice di condividere con noi storie e racconti.
“Nonostante da queste parti la povertà incomba, la Valle del Chota è un piccolo universo di vitalità ed un fiero esempio di ospitalità. Un angolo di Africa felice in Ecuador.”
SAN LORENZO DE PAILÓN, “Terra de sol y lluvia”
San Lorenzo si trova invece nella parte più settentrionale del Paese (a circa 240 km da Quito), e fa parte del cosiddetto Sistema del Choco, una macro-regione che comprende il Tapòn del Darien ad est di Panama (dove per intenderci si interrompe la Panamericana), e l’intera costa pacifica di Colombia ed Ecuador. Ci troviamo in una delle zone più piovose del pianeta, in un eco-sistema protetto, adibito per circa il 10% a Riserve Ecologiche e Parchi Nazionali.
E’ in queste zone remote e difficilmente raggiungibili che si rifugiarono le popolazioni africane in fuga dai negrieri europei, mischiandosi così alle comunità indigene di Awa, Cachì ed Esperas. E’ questa, infatti, una regione di grande interesse antropologico e culturale, dove si conservano tuttora tradizioni e stili di vita ancestrali.
San Lorenzo (45.000 ab. circa) è il centro principale della regione di Esmeralda, ed è una città disordinata e sgraziata, che colpisce principalmente per la sua ricchezza culturale, essendo abitata in larga maggioranza da una popolazione di pelle nera.
Di sera la città non trasmette una gran fiducia, ma di giorno è un centro vivace e attivo, dove è possibile girovagare senza problemi, e dove la gente è intenta a commerciare qualsiasi cosa, in un tripudio di allegro disordine.
Ma oltre alla sua bella gente, San Lorenzo detiene uno straordinario patrimonio naturale.
Partendo dal suo porto (per usare un eufemismo), si può esplorare tutta la regione circostante, caratterizzata da un ricchissimo eco-sistema e da alberi acquatici alti addirittura 70 m, sono i Manglares più alti del mondo.
Un colpo d’occhio impressionante! Nascoste in questa giungla di mangrovie vivono di pesca e di frutta, le comunità nere di Limones e Pampanal de Bolivar, raggiungibili solo via mare.
Un mondo distante anni luce dalla capitale Quito, che conserva una proverbiale rilassatezza, condita da ritmi caraibici e tropicali. Un’occasione unica di entrare in contatto con culture ricche di storia e di spirito. Ah, i neri! Ti mettono sempre di buon umore!
“I tesori più preziosi si trovano nei luoghi più remoti”
QUALCHE INFO PRATICA
San Lorenzo si trova a 240 km dalla Capitale Quito. Noi siamo arrivati in autobus, in piena notte.
Come detto, la città in quelle ore, non è molto sicura. Sarà consigliabile perciò prendere un taxi e farsi portare direttamente in hotel. Anche se a quell’ora non troverete molte reception ad accogliervi. Il nostro consiglio è farvi aspettare dal tassista, fino a quando non vi avranno aperto.
Inoltre per raggiungere le comunità di Limones e Pampanal basta prendere una panga (le barche lunghe in legno che usano i locali). Ci sono collegamenti con la terraferma fino alle 15 del pomeriggio.
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