VIAGGIO IN CAMBOGIA: ELOGIO ALLA SEMPLICITÀ

Un viaggio insperato alla scoperta di un paese sconosciuto, da vivere a passo lento e a cuore aperto. Le foto di una fotografa ispirata, che è prima di tutto una ragazza dall’animo nobile e gentile, qualità necessaria per fotografare e fluire, perché se non sai sentire, la tua fiamma non brilla e l’occhio non può scattare. La fotografia come cura dell’anima, come intima forma di espressione, come una sorta di magia capace di cogliere l’impercettibile senso della realtà. Un reportage firmato Giulia Magg in un viaggio in pieno stile Vitamina Project.

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CAMBOGIA, ovvero L’IMPERCETTIBILE SENSO DELLA REALTÀ

Viaggiare in Cambogia è stato speciale, un dono caduto dal cielo in un momento della nostra vita oscuro ed intricato. Viaggiare per districare la coscienza e liberarsi la mente da pensieri contorti. Così stacchi tutto, chiudi lo zaino e via, si entra in un altro mondo fatto di sorprese inattese, difficoltà e meraviglie.

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Viaggiare in Cambogia per amare la vita e mettersi in gioco, ringraziando ogni giorno quel destino fatato che ci ha voluto viaggiatori curiosi. Sulla nostra strada la scia di una Cambogia perduta nel tempo, vago riflesso di un passato epico e mitologico, la cui modesta e attuale realtà fa da specchio a rovine leggendarie e dinastie illuminate.

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Seguendo il corso lento e indolente di un fiume, il Mekong, che non ha più alcuna importanza e che continua a fluire parallelo al tentativo di un paese di agganciare quel così ambito progresso. Come queste due donne che con fierezza guardano avanti, chissà dove, senza però nessuna certezza. Seguono il richiamo della vita e viaggiano, proprio come noi, verso incerti destini.

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VITA RURALE CONDIVISA

Cambogia, ovvero bellezza, semplicità, discrezione, eleganza e gentilezza. Cambogia ovvero sporcizia, confusione, incoscienza e povertà.
C’è di tutto in Cambogia, e nessun viaggiatore sfuggirà al richiamo di quello che a noi piace chiamare l’impercettibile senso di realtà, che li per lì ti sembra irrimediabilmente corrotta e compromessa, ma che invece scorre e pulsa di vita. Una vita essenzialmente rurale e senza pretese, incapace di squarciare quel velo che ricopre il presente di un intero Paese.

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Risaie dorate come le stupe dei santuari e le pagode dei templi, paludi stagnanti dove si bagnano intere mandrie di bufali, fiumi che invadono immense distese. Foreste vergini (poche ormai) e  piantagioni di caucciù, di pepe e di mais a perdita d’occhio. Tutti qui vivono di poco e l’agricoltura è ancora la vita.

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Costruzioni di legno sospese sull’acqua, o sul fango, dentro qualche tappeto di paglia, qualche cianfrusaglia ed intere famiglie che ti guardano con gli occhi di chi, impassibile, osserva scorrere il tempo e le avventure di altri. A loro non importa chi sei, ma al tuo passare si fermano, alzano gli occhi e ti guardano, fissi negli occhi, pieni di discreto timore e di dolce semplicità.

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Hanno la saggezza del Buddha queste persone, vivono in mondi senza pretese, ma ricchi di dignità. È come se sapessero che tanto, in fin dei conti, quel che conta è l’anima e non la materia. Hanno la felicità nel cuore, come solo può avere chi non ha nulla. Eppure qui ci hanno aperto le porte e ci hanno persino invitato a mangiare quella manciata di riso che non sazierebbe nemmeno una gallina. I loro sorrisi valgono oro, e la realtà che vediamo si trasforma in beltà e nobiltà… quella d’animo, quella vera.

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Davvero non hanno niente, non sembrano avere nemmeno età, sono esseri naturali e sensibili che vibrano seguendo il soffio del vento ed il suono metafisico del canto dei monaci, all’ombra di monolitici giganti dorati dai tratti divini. 

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Buddha è in ogni cosa, dicono, vivono nel suo nome, facendo offerte, bruciando incensi e intonando preghiere. E chi siamo noi per passare di qui e interrompere questa monotonia piena di poesia? Probabilmente nessuno, oppure siamo cuori aperti che amiamo vibrare seguendo la scia della gratitudine e della semplicità. Certo viaggiamo per scelta e con la gioia di conoscere il mondo, abbiamo una macchina fotografica che può creare nuovi universi, ma non vuol dire nulla, ci sentiamo presenti e vicini a queste persone.

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D’altronde il Buddha ci vuole cosi, tutti fratelli di un unico cosmo. Non è facile però, a volte la lingua, le usanze, il pensiero e persino i trasporti possono allontanarci, creare barriere e chiudere occhi. Ma per fortuna c’è il viaggio, ovvero l’essenza di scoprire la vita, l’intimo soffio di un essere illuminato che ci spinge a conoscere e a metterci in discussione.

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E così abbiamo viaggiato per tutto il Paese, da sud a nord, fino a guardare la Thailandia, a gettare uno sguardo sul Laos e a toccare il Vietnam, persi tra miniere di gemme e zirconi, tra le vette di montagne che nascondono tempi e santuari ormai decadenti, attraversando foreste fitte e remote, come i nomi delle province orientali di Mondolkiri e Rattanakiri. Ci siamo visti venire incontro anziani  pachidermi, mentre il caldo umido e soffocante del sole asiatico abbronzava i nostri visi.

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Viaggiando in Cambogia abbiamo amato e abbiamo pianto di fronte a tanta povertà e a tanta bellezza, una bellezza immortale che accomuna il taglio degli occhi e le forme dei visi di questa gente alle apsara divine, leggiadre danzatrici degli dei. Ma non ci siamo mai illusi, perchè questa bellezza è figlia della povertà e della sofferenza di epoche così lontane ma così vicine. Purtroppo pervade ancora un impercettibile senso di tristezza, che a volte si fonde con la realtà immutabile di luoghi disagiati.

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Ma è il cuore che fa la differenza, le barriere non esistono e noi siamo fratelli di un unico cielo, sotto il quale continueremo a correre e a camminare con la gioia di chi ha avuto una grande fortuna: la vita!

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