LA SERRA GAUCHA, UN ANGOLO D’ITALIA…IN BRASILE – Flores da Cunha – Rio Grande do Sul – Brasil

Domenica d’estate, un sole luminoso domina il cielo terso, un brusio di voci e risa movimenta la stasi del caldo meriggio e un irresistibile profumo d’arrosto si fa strada nell’aria umida, sempre più insistentemente.

Araucarie ed eucalipti giganti dominano il rigoglioso verde circostante; frutti e fiori coloratissimi adornano un Eden che mi sembra lontano anni luce dalle metropoli d’acciaio. Sulla tavola, in attesa che la carne sia ben cotta, scorgiamo pomodori, insalata, vino rosso e morbido pane fatto in casa. La nostra distrazione però dura pochi istanti, perché da buoni ospiti  dobbiamo rispondere al simpatico interrogatorio che ci viene fatto. Tutti intenti a sapere del nostro progetto e dei nostri piani per portarlo a termine. Con grande caparbietà, dimostriamo di tenere testa alla simpatia generale dei componenti della famiglia Cavalli.

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Tra una battuta e l’altra, Antonio, il più anziano dei fratelli, ci invita a fare il giro del vigneto, che si trova esattamente alle spalle della Tenuta. La distesa è immensa, I filari si estendono a perdita d’occhio, eppure mi sembra di distinguere, uno ad uno, i turgidi grappoli di uva cardinale che pendono dalla vigna. Ne cogliamo uno, ed immediatamente, il dolce succo si disperde nella bocca rievocando, come un potente elisir, i cari e dolci paesaggi della nostra Terra. Un flash che subito svanisce al richiamo di Donna Teresa: “se prontoooo!!!”
Gli uomini della famiglia colgono al volo la chiamata e ci invitano a raggiungere con loro la lunga tavolata. Finalmente si mangia! Piatti che danzano nell’aria, coltelli, che si affilano, volano i primi brindisi, ma appena assaggio il primo pezzo di carne le mie papille gustative si dilatano, e poi, silenzio! Un sapore non comparabile invade le nostre bocche. Stavamo mangiando la miglior carne di sempre.

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Ne era valsa totalmente la pena lasciare Porto Alegre per spostarsi ancora più all’interno. Il nostro viaggio in Brasile stava prendendo delle pieghe sempre più sorprendenti.
Ma come Porto Alegre e Brasile!?! Non eravamo in Italia? Ci era persino sembrato di ascoltare Donna Teresa convocare tutti a tavola con un richiamo più che familiare. E Antonio che, come tutti, continuava a parlarmi in dialetto veneto? Si trattava di allucinazioni? Forse la stanchezza del viaggio cominciava a farsi sentire? Poteva anche essere… O forse no! La verità è che ci trovavamo davvero in Brasile, e precisamente nel cuore della Serra Gaucha, una regione dello Stato del Rio Grande do Sul molto ricca.


Flores da Cunha-Brasil24Qui a partire dal 1875, cominciarono ad arrivare coloni e mezzadri da tutt’Italia, principalmente dal Veneto, ingolositi dalle proposte del governo Brasiliano, che per popolare le regioni meridionali del Paese, e difendere i confini con l’Uruguay, promise lotti di terra a chiunque fosse stato disposto a lasciare il proprio paese. In cambio avrebbero avuto terreni fertili a disposizione, da coltivare a proprio piacimento. Non si trattava di un miraggio, bensì di prospettive concrete, e soprattutto dell’opportunità, più unica che rara di sfuggire alla morsa della fame e della carestia che in quel periodo attanagliava il nostro Paese. In verità, però, quei terreni così fertili erano occupati da una vegetazione eccessivamente selvaggia, il cosiddetto “Mato”, il bosco che ti avvolge. Fu una propaganda ingannatrice, quella del governo brasiliano, perché di terre piane e coltivabili ce n’erano ben poche. I lotti migliori erano stati dati ai tedeschi, che avevano anticipato la migrazione di quasi cinquant’anni, nella zona dell’attuale Porto Alegre.
Così le prime generazioni ebbero vita dura. Ma lo spirito di abnegazione e di sacrificio, che da sempre caratterizza i contadini italiani, ha avuto la meglio sulla Natura, e con il passare del tempo i nostri immigrati sono riusciti a rendere produttivi questi territori, apparentemente ingestibili. Frutteti, distese di cereali e ortaggi, persino vigneti, oggi qui si produce di tutto e in larga scala, ed ormai, i pronipoti di quei primi coloni, ora sono in grado di sostenere, con questa produzione, parte dell’economia del Brasile.

Ma lo spirito italiano da queste parti non vive solo nella tradizione del lavoro, è presente, anche,in maniera sorprendente nella lingua parlata. Ancora viva, come un focolare ardente. Qui la prima lingua non è il portoghese, ma il Taliàn, un misto di dialetti bresciani, Mantovani, cremonesi, con la prevalenza di quello Veneto. Ascoltare queste persone così interessate al nostro viaggio, parlare in dialetto ci lascia totalmente sorpresi. Positivamente. Ci sembra di non aver mai lasciato la nostra cara Italia, anzi, ci sembra di esserci spinti nel cuore del Polesine.

A Nova Padua, a pochi chilometri da Flores da Cunha, all’entrata del paesino, leggiamo una scritta emblematica: “Nova Padua, Pequeno paraíso italiano” e capiamo il legame che ancor oggi esiste tra queste terre disperse nel cuore della Serra Gaucha brasiliana e quelle della nostra Pianura Padana. In realtà molta di questa gente che incontriamo non è mai stata in Italia, eppure tramanda usanze e tradizioni del nostro Paese. Sembrerebbe un paradosso, invece è pura realtà, qui la gente, di fatto più che brasiliana, porta in dote la lingua originaria dei progenitori, che più di un secolo fa hanno lasciato l’Italia per tentare la sorte in Brasile. Sorte che ha tardato ad arrivare, ma che ora risplende negli occhi e nei sorrisi di questa gente. Grandi lavoratori, hanno saputo convincere, con il loro spirito gentile, Madre Natura, e trasformare territori ostili in dolci e fertili pendii.

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Ciò che è rimasto, nel tempo, è uno spirito di carità e di ospitalità che contraddistingue le comunità contadine. Le tradizioni, immutate e sacre, ci fanno viaggiare indietro di molti anni. Lo spirito di abnegazione si affianca ad un fervore religioso che tuttora permane e regola le giornate e condiziona la comunità. Gente semplice, che si affida alla Vergine Maria, prima di andare a lavorare nei campi. Piccole edicole, quasi sempre poste nel giardino di casa, che ospitano statuine di Sant’Antonio da Padova, la cui devozione ha attraversato un oceano e tante generazioni.

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Nelle loro case tutto ci sembra molto umile, ma sempre ordinato, le pareti sono occupate nella loro interezza da immagini sacre e foto in bianco e nero di parenti ormai non più viventi. Croci e fiori finti producono in noi, italiani d’altri tempi, un distacco emotivo molto forte. Non riusciamo quasi a capire la forza di tanta devozione. E poi scorgiamo un’ umiltà che è ormai sfuggita alle generazioni più giovani del nostro vecchio Continente.

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Prima che il sole ci saluti, facciamo un ultimo giro tra i campi, entriamo in una stradina, e dopo un lungo tratto sterrato arriviamo a casa di Olinda, una signora di 92 anni, molto vispa. Ha fama di essere una strega (buona) che fa creme miracolose e soprattutto un formaggio buonissimo. I suoi occhi sprizzano di vita e di energia. Le sue mani, ruvide e venose, hanno lavorato da sempre, da quando era bambina. La sua memoria è formidabile e sentirla parlare é un’emozione grande. Attraverso la sua voce fluisce quasi un secolo di storia, una storia di immigrazione e di stenti, senza perdersi mai d’animo, andando avanti con la forza della fede, una fede che oggi non esiste quasi più. Le sue parole sono evocative, scorrono nella nostra mente, suscitano delle reazioni in noi, e ci stimolano i ricordi della grande memoria collettiva, quella che condividiamo con i nostri avi, nonostante il passaggio del tempo.

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Olinda è una forza, è l’incarnazione dello spirito femminile del mondo. La sua saggezza oggi è fonte di ispirazione per noi giovani. E quando, incuriositi, gli chiediamo della sua famosa crema miracolosa, lei ci prende per l’avambraccio e ci trascina nel suo laboratorio, pieno di forme di formaggio, più o meno stagionate. Ci racconta che la cosa che la rende più felice è mungere il latte dalle sue mucche e pregare. Poi, dopo alcuni attimi di silenzio, Olinda va in fondo alla stanza, lunga e stretta e, dopo aver frugato nelle retrovie dell’ultimo scaffale, tira fuori un barattolino, va dritto da Giulia e le dice con la dolcezza di nonna: “portala con te nel tuo lungo viaggio, e per qualsiasi cosa, bruciature, punture, allergie, ferite, spalmane un po sulla pelle…ti aiuterà”. Era la famosa pozione, quella di cui parlano in paese, e lei ce ne aveva fatto dono, un grande dono.
Io e Giulia ci guardiamo senza dire nulla, uno scintillio luminoso attraversa le nostre iridi. Potevamo proseguire il nostro viaggio, senza paure. Forze positive e millenarie ci avrebbero accompagnato!
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Foto by: © GiuliaMagg / www.giuliamagg.com

 

 

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