Brighton Rock: Storie di vagabondi – parte II

II PARTE

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“E’ la Bohème pensai, guardando il mare accennato oltre i palazzi, mentre mi accomodavo sul water,
ah che pace!! che meraviglia!!!”

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BRIGHTON di BRIGHTON&HOVE

Dopo la mia sensazionale scoperta avevo deciso di prestare più attenzione, senza però perdere il mio fatalismo avventuroso. Così ero diventato assiduo frequentatore dei vari bar di Hove che offrivano wi-fi gratuito, e per alcuni giorni mi spiattellai furtivo sui loro stipiti come diabolik, per intercettare il debole segnale.

Intanto, spesso raggiungevo a piedi Brighton percorrendo per intero la Church Road, praticamente l’unica via dello shopping di Hove, evitando scientemente il bus che grazie al cambio valuta diventava costosissimo per i miei standard italiani. eh sì!! perché il cambio euro-sterlina mi aveva costretto sin da subito ad una maggiore vigilanza finanziaria; il mio budget non era altissimo e sarebbe dovuto durare molto a lungo, così, mentre durante i primi giorni il suono di numeri come 1.80 o 2,10 mi erano parsi grandi affari pian piano ero diventato diffidente verso qualsiasi spesa che superasse il numero 1, il centesimo mi acquietava mentre alla parola Pound mi irrigidivo per buoni due o tre minuti dopo l’acquisto, cercando di capire quanto realmente avessi speso.

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La vecchia cara Inghilterra però aveva intercettato questa mia timidezza, e per non deprimere i consumi aveva dotato quasi ogni market, Tesco, Lidl e Morrisons in primis di speciali bollini azzurrini o rossicci dove imperava il rassicurante 1₤. Inoltre per tutti i prodotti essenziali alla vita calorica di base di ogni cittadino britannico, come i fagioli con il ketchup Heinz Beanz. il cacio arancione fosforescente Cheddar, il breakfast the e le salsiccette rosa, il prezzo era fissato dalla regina madre in persona sotto il Pound, il mio giro-vita era salvo: God save the beans!!!

Ben presto, però, mentre ero intento a difendere l’ennesimo expensive fish & chips dalla ferocia famelica dei gabbiani britannici, un giovane irlandese rispose al mio annuncio invitandomi a succedergli in un appartamento di sei camere, settanta scalini, cucina/soggiorno/ingresso e piccolo bagno con comoda seduta water vista mare-lontano, mmm…non saprei, un solo bagno, dai!! che te frega!! pronto a tutto!!.
Ci incontrammo e mi consegnò la sua stanza per sole 120 sterline al mese, introducendomi ad una folla di ragazzi sorridenti che presto scoprii essere tutti, nessuno escluso, miei coinquilini.

Quattro uomini e sei donne, quando eravamo tutti insieme le pareti tremavano, nello specifico: una belga dai tratti sudamericani in gravidanza, una cantante londinese vagabonda, un regista autoctono con sorella diciottenne figlio dell’ambulante con la bancarella di libri che sosta orario continuato sulla via della stazione, un musicista di strada ultimo di tredici fratelli, un’attrice di sitcom anche cuoca raw-food e blogger, una coppia di americani di San Francisco, e un’altra ragazza che parlava talmente inglese da non essere mai riuscito a capire cosa dicesse e facesse nella vita.

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Abitavano tutti da qualche anno in questo vecchio stabile pieno stile London House: legno e moquette illavabile, infissi ingestibili, soggiorno/cucina “Big Medieval Mess” (cit. Merlino), in pieno stile compagnia delle Indie, una vecchia credenza piena di cianfrusaglie, una vecchia radio sempre accesa, drappi e lumi tutti intorno e un vecchio divanetto dalla tappezzeria lisa e stinta; tavolo da pranzo e una grande finestra con la veduta mezzo impedita da una grondaia sconnessa che dava sull’atrio scalcinato di altri simili palazzi, che meraviglia, mi dissi, che casino royale!! era la perfezione!! la mia camera arredata solo del letto e di un quadruccio sgangherato con una cartina del Sud America rubata alle scuole primarie. E’ la Bohème pensai guardando il mare accennato oltre i palazzi mentre mi accomodavo sul water, ah che pace!! che meraviglia!!! allora fifone!! Niente male non credi?!! ma il bidet??!!

BRIGHTON

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La città di Brighton ha il suo cuore nel mare, un cuore di giostre, slot machine musica e zucchero filato collegato alla terraferma da un lungo pontile. Lo rivelava il fatto che in ogni dove mi sembrava di vedere gente che correva al Luna Park, anche a notte fonda quando i grandi cancelli del Brighton Pier erano serrati.
Ormai ero padrone della città e la giravo in lungo e largo, affamato della sua energia!!
Non capivo cosa ci fosse di tanto speciale nel Brighton Pier, mi era sembrato un posto ultra turistico per gente annoiata. Eppure, passeggiando per la città, qualcosa ti attirava di questo baraccone in mezzo al mare, e quando cedevi alla sua magia e calcavi sbadato le assi del pontile, era come ricaricare le pile di un’euforia infantile, inizia così il pezzo dei Queen, pensai, caciara da fiera, è l’archetipo dei balocchi!! Un Archetipo che Brighton non custodisce solo nel suo splendido museo dei giocattoli a Trafalgar street, proprio vicino la stazione centrale, ma va oltre.

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Brighton fu votata a questo spirito festaiolo da quando il principe Giorgio IV se ne innamorò trasformando una piccola fattoria nel primo grande disneyano castello pre-celluloide: il Royal Pavilion e ne fece la sede dei parties più trendy della casata reale. Bene, Brighton vive ancora quello spirito a cui tutti partecipano, anche inconsapevolmente. Qui tutto è esageratamente ottimista come recita una frase a caratteri cubitali proprio sulla Marine Parade “I have great desire, my desire is great!”

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La prima volta al Pavillon mi sembrò di essere in un sogno ad occhi aperti; avevo appena lasciato la zona commerciale attorno alla piazza dell’orologio tra North e West Street, innervosito dall’occidente invadente e consumistico e, continuando verso Queen’s park, mi ero diretto verso casa cercando il più possibile di attraversare stradine silenziose e il più inglesi possibile, quando in Tichborne street su una parete di mattoncini rossi, vidi una scritta dorata: Brighton buddhist centre. Due ore dopo scivolavo rilassato come un bonzo: una lunga lezione di visualizzazione meditativa mi aveva catapultato tra le nuvole a fare amicizia con i temuti gabbiani.
La stanza, profumata e fresca, dava proprio sui tetti della città, dove a malapena arrivava il suono goliardico del Brighton Pier.

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Appena all’angolo, il quartiere mi viziava ulteriormente con un piccolo mercatino di antiquariato dove insieme ad alcuni volumi sulla storia britannica in india, mi attrasse una griglia che rosolava salsicce scure, che meraviglia, che pace!! ah!! India!!! India!! ingoiai tre panini dal costo totale irrisorio e rotolai verso una zona verde per continuare la mia estasi buddhica. Mentre navigavo alla cieca la stretta griglia di viuzze a est di Queens road, convinto di trovare il Victoria Gardens, come un novello Colombo, sbarcai su un prato inatteso, dove dietro una siepe mi si aprì dinnanzi il maestoso Pavillon. Sulle prime dovetti faticare a non pensare di essere stato catapultato direttamente ai piedi del Taj Mahal, solo un complesso bandistico locale in divisa tipicamente britannica mi aiutò alle giuste comparazioni, soprattutto quando seduti alle sedie disposte nel prato intonarono per tutti i presenti una festosa Yellow submarine.

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NORTH LANE

La pioggia non dava ancora tregua nonostante fosse luglio inoltrato, dovetti addirittura comprare un cappello a falda larga che mi riparasse dalla tipica pioggerellina incessante, e mentre percorrevo la lunga marine parade, mi ripromettevo che al primo sole avrei fatto anche io il bagno nell’oceano, proprio come quei russi o norvegesi, che nonostante un freddo boia, si tuffavano tra le onde grigie e gelide come fossimo a Gallipoli.

Quando pioveva frequentavo la Jubilee Library, (dopotutto ero lì per imparare la lingua!) una grande e comoda biblioteca piena di testi in lingua dove è piacevole passare il tempo a disegnare taccuini interi di gabbiani e mitiche prose poetiche orientali. Avevo però imparato anche ad utilizzare al meglio i brevi rain delay per visitare le botteghe e i negozietti dell’usato di cui era ricco il mio quartiere, un fazzoletto di city diviso perfettamente in lunghi rettangoli tra Queens Road e il Victoria Garden, un parco stretto tra due vie trafficatissime, che s’inerpicavano sul colle e che ribattezzai ben presto il giardino delle birre. Qui spesso passavo il tardo pomeriggio con i miei coinquilini a fare magri picnic e a giocare a Badminton, senza ottimi risultati, e dove, con un pò di attenzione percorrendo il parco con metodo e disciplina, c’era una percentuale del 73% di trovare della birra in lattina abbandonata, rigorosamente chiusa da qualche distratto studente o da qualche incallito bevitore.

Ma Brighton non mi offriva solo la birra, presto il risparmio diventò la mia quotidianità, la città era piena di opportunità e molti di questi mi furono svelati dai miei compagni che durante la loro squattrinata carriera universitaria avevano affinato alcune tecniche e memorizzato con perizia “luoghi e orari del risparmio”.

Per esempio seguendo London Road oltre la chiesa di St.Peter spesso e volentieri le paninoteche che chiudevano alle 18:00 lasciavano all’esterno i panini avanzati durante il giorno con tanto di etichetta dell’orario, in cui il cibo era stato confezionato, puliti e gustosissimi, ottimi a merenda da consumare in loco o posticipare alla cena. Alle 19:00, invece, in Regent Street l’appuntamento era nel cortile cassonetti dell’Infinity food, una catena di market bio che lasciava lì pane biologico e verdure, invendibile il giorno dopo.
In generale, i cassonetti inglesi conservano meraviglie, e se opportunamente e gentilmente scassinati, si scopre che la maniacalità delle leggi igieniche britanniche, renda i cassonetti dei supermarkets una vera manna per il risparmiatore. Una sola regola etica: precedenza al povero barbone!!

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