CHE COS’E’ IL WALKABOUT, IL VIAGGIO INIZIATICO DEGLI ABORIGENI AUSTRALIANI

Ad un certo punto della loro gioventù, all’improvviso sembrerebbe, gli aborigeni lasciano la propria famiglia e l’intera comunità, e vanno in Walkabout.
Scompaiono, fanno perdere le tracce di se stessi per inoltrarsi nel bush, il deserto australiano fatto di cespugli e sterpaglia.
Si dileguano come visioni, come dissolvenze all’orizzonte, si spingono oltre, fino a quando il loro profilo sinuoso e nerboruto non si fonde definitivamente con i colori del tramonto.
Se torneranno, dipenderà solo da loro.
Ma cosa vanno a fare esattamente gli aborigeni nel deserto? E cosa li spinge ad esporsi a rischi così grandi? Lo fanno solo per sfidare la fame, resistere alle insidie dell’Outback selvaggio e dimostrare alla comunità che sono in grado di badare a se stessi?

IL VIAGGIO PIU’ TORTUOSO DI TUTTI

Il concetto di walkabout non è così lineare e intuitivo, ancor meno per noi europei occidentali che, spesso, guardiamo a questi rituali tribali con divertito distacco. Per gli aborigeni, però, il walkabout è un punto fermo della propria crescita di uomini e di individui.
E’ un viaggio verso l’ignoto, alla scoperta di se stessi, un confronto diretto con l’immensità del creato, una maniera concreta per conoscere il mondo ed essere iniziati al cammino più insidioso e tortuoso di tutti, la Vita.

La società aborigena ha come fulcro dello sviluppo dell’individuo il rituale del viaggio, attraverso l’allontanamento temporaneo dalla propria famiglia e dalla tribù.

ORIGINI E SIGNIFICATI DEL TERMINE

Il termine inglese walkabout (“cammina in giro”) si riferisce al lungo viaggio rituale che gli australiani aborigeni intraprendono attraversando a piedi le distese del bush australiano. Tale termine fu coniato dai proprietari terrieri bianchi australiani per riferirsi agli schiavi aborigeni che, all’improvviso, sparivano dalle loro proprietà, spesso per settimane, e dei quali si diceva gone walkabout (“andato in walkabout”).

UN CONCETTO UNIVERSALE

Ai nostri occhi di occidentali, tutto ciò potrebbe sembrare alquanto assurdo, ma per una Società, come quella degli Aborigeni australiani, che vive di archetipi e di prove, di canti, telepatia e di proiezioni, il walkabout acquisisce un valore fondamentale, imprescindibile per diventare, finalmente e consapevolmente, un membro attivo della propria Comunità.

Il walkabout è, quindi, un concetto molto più concreto di quello che pensiamo, e si inserisce nel quadro universale della visione che gli Aborigeni hanno del mondo. Un elemento fondamentale della loro Cosmogonia.
Si tratta di un cammino iniziatico che assume i tratti del viaggio rituale, cui è impossibile esimersi. E’ un atto di coraggio che il rigazzo è chiamato a dimostrare a se stesso e al suo clan.

Arte Aborigena – Uluro e i canguri

Il Viaggio iniziatico è un concetto universale presente in molte società ancestrali e tradizionali, e lo avevamo incontrato nel nostro ultimo viaggio in MESSICO anche in quella dei Huicholes.

Per gli aborigeni australiani il Walkabout è un meccanismo insito nel DNA, un richiamo naturale cui nessuno può sottrarsi, un compromesso tra se stessi e la Tradizione.

Ad un certo punto della propria adolescenza il giovane aborigeno deve salutare la propria famiglia e il proprio clan, e deve spingersi nel bush, che rappresenta l’ignoto. Deve andare a conoscere tutti i misteri del creato, per acquisire le tecniche di sopravvivenza e di caccia, e anche per incontrare il proprio animale totem, che lo accompagnerà (e lo proteggerà) per tutta la vita.”

IL DREAMTIME E LE VIE DEI CANTI

Secondo la tradizione degli aborigeni, a creare il Mondo naturale sarebbero stati i loro primi antenati, degli esseri soprannaturali provenienti dal cuore della terra, che si sarebbero messi in cammino creando ogni cosa con il canto, le cosiddette Vie dei Canti raccontate da Bruce Chatwin nel suo memorabile saggio sulla cultura autraliana.
In questo tempo mitico e astorico, il Dream Time (“il Tempo del Sogno”), gli antenati avrebbero creato ogni cosa e soprattutto, avrebbero dato il nome a ogni elemento: animali, acqua e cibo, alberi, mettendoli a disposizone dei posteri.

“Gli Antenati che avevano creato il mondo, cantandolo, erano stati poeti nel significato originario di poesis, e cioè «creazione».
Il walkabout è proprio la rievocazione di quel primo viaggio mitico, da cui era originato Tutto.”

Le vie dei Canti – BRUCE CHATWIN

Il walkabout è, quindi, l’occasione per ogni ragazzo sulla via dello sviluppo, di riconnettersi con quel momento mitico, con il Tempo del Sogno, incontrare i propri antenati e carpire i segreti dell’Universo, in un viaggio iniziatico che evidentemente assume i caratteri di una prova, di un crocevia tra il transitorio stato dell’adolescenza e quello della virilità.
Perciò ci si mette in cammino, per seguire le orme mitiche degli antenati, tjurna djugurba, che con un atto di generosità hanno offerto il Mondo, in tutta la sua essenza, all’Uomo.

“Il viaggio rituale svolge l’importante funzione di rievocare il potere creativo degli antenati, favorendo il ricongiungimento almico con quello stato di grazia, da cui tutti proveniamo e verso il quale tutti noi ambiamo a tornare, il Dreamtime, un Tempo del Sogno nel quale ciascuno di noi era direttamente collegato alla divinità e alla dimensione superiore .”

IL WALKABOUT NEL CINEMA E NELLA LETTERATURA

Il concetto di walkabout è stato indagato da numerosi studiosi, registi e scrittori occidentali, essendo esso un aspetto centrale della cultura aborigena australiana. Tra tutti, ci sentiamo di menzionare il film di Nicolas Roeg (1971), dal titolo “Walkabout”, che racconta di un emblematico, quanto simbolico e a tratti surreale viaggio di un aborigeno e di due fratelli bianchi nel cuore dell’Outback, in seguito ad un atto di follia del padre di quest’ultimi. Il film, presentato ufficialmente in concorso al 24° Festival di Cannes, è peraltro, la trasposizione cinematografica de “La Grande Prova” di James Vance Marshall.

A proposito di libri, non perdetevi “Le Vie dei Canti” di Bruce Chatwin, vera e propria pietra miliare della letteratura di viaggio. Un saggio sul nomadismo, nel quale il viaggiatore inglese descrive gli aborigeni australiani, e la loro terra tutta segnata da un intrecciarsi di «Vie dei Canti», come un labirinto di percorsi visibili soltanto ai loro occhi.

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